Per l’altalena delle previsioni economiche è la fase della discesa. E ieri anche l’Istat ha rivisto al ribasso le stime sul ritmo dei prossimi passi dell’economia italiana: nei nuovi dati diffusi ieri, la casella del 2024 viene riempita con un +0.5%, lo stesso tasso di crescita ipotizzato mercoledì dall’Ocse, mentre per il prossimo anno i calcoli Istat si fermano al +0.8%.
Nel Piano strutturale di bilancio, il nuovo programma ufficiale di finanza pubblica previsto dalla riforma del Patto Ue, il Governo aveva fissato un obiettivo di crescita al +1.2% il prossimo: cifre simili a quelle ipotizzate dallo stesso Istat a giugno (+1% e 1.1%) e uscito dimezzate nel primo caso e molto ridotte nel secondo della revisione di ieri. La congiuntura, del resto, è quella che è, e lo stallo economico e politico in Germania in contemporanea con la crisi istituzionale in Francia non aiutano. La revisione al ribasso <<non sorprende>> il ministero dell’Economia, fanno infatti sapere da Via XX Settembre, dove si sottolineano i problemi molto seri dell’industria che continua a registrare, da un anno e mezzo, una crescita negativa e si evidenzia la necessità di una strategia complessiva europea di rilancio industriale per affiancare i <<compiti a casa>> che il Governo sta facendo.
I dibattiti delle scorse ore si concentrano su quest’anno, ma la sfida centrale riguarda il prossimo. Perché il terzo trimestre stagnante ha archiviato definitivamente le ambizioni di un rotondo +1%, complicato anche dalla revisione delle serie storiche. Questo però è un anno particolare, con quattro giornate lavorative in più che da sole offrono due decimali di Pil. I numeri Istat, basati sui conti trimestrali, sono al netto di questo fattore, per cui con un ritorno anche modesto della crescita nella fase finale dell’anno il consuntivo si potrebbe chiudere intorno a +0.8%. La distanza fra le tabelle dell’Istat e quelle del Governo, insomma, è più apparente che reale, e non determina conseguenze rilevanti su saldi di finanza pubblica che chiudono meglio di quanto ipotizzato ad aprile con il Def. Le questioni si fanno più sostanziali sul 2025, che nelle stime Istat si configura come il terzo anno << zerovirgola>> consecutivo, dopo il +0.7% del 2023 e il range di cui s’è detto per il 2024. Al di là dei balletti sui decimali, inevitabili nelle previsioni macro, il problema è tutto qui: perché in assenza (fortunatamente) di nuove fiammate inflattive, un livello di crescita modesto complica il percorso di riduzione del debito e quindi soffoca i margini di intervento di un bilancio pubblico già in affanno su voci cruciali come la sanità, l’istruzione e così via.
Posta questa premessa, per il prossimo anno l’Istat contempla solo due terzi della crescita messa invece a bilancio dal Governo. E lo fa in base a una valutazione più modesta sia per quel che riguarda le dinamiche tendenziali dell’economia sia in relazione alla spinta offerta dalla legge di bilancio, limitata a due decimali di Pil contro i tre attribuiti dal Governo. Se si realizzassero le ipotesi elaborate dall’Istat per l’Italia e quelle della Commissione per gli altri Paesi dell’Ue, Roma occuperebbe già dall’anno prossimo le posizioni di coda nella classifica della crescita, collocandosi al 19esimo posto fra i 20 Pesi dell’Eurozona in una graduatoria che sarebbe chiusa dal +0.7% attribuito alla Germania in uscita dalle secche della recessione. E tornerebbe ad affacciarsi il differenziale che nella lunga stagnazione pre-Covid ha separato le performance economiche italiane da quelle dell’area dell’Euro, accreditata nei calcoli di Bruxelles di un +1.3%: niente di eccezionale, se confrontato per esempio con il +2.4% attribuito dall’Ocse agli Usa, ma pur sempre un tasso di crescita superiore di oltre il 60% a quello italiano.
Dopo un 2024 dominato dalla domanda estera netta, l’anno prossimo le chiavi della crescita italiana dovrebbe tornare nelle mani domestiche, con i consumi delle famiglie trainate da un quadro occupazionale ancora il Pnrr, sembra spegnersi invece la crescita degli investimenti, che dopo il +0.4% di quest’anno tornerebbe piatta nel 2025: a meno che non si intensifichino ulteriormente, ipotesi non irrealistica, i segnali di vivacità che si iniziano a percepire sul terreno della spesa affettiva dei fondi Ue.
Fonte: Il Sole 24 Ore